Dite la verità: credevate di conoscerlo, il duo garage-punk della laguna di Venezia. Due, come il numero del blues, il fiore all’occhiello di un’ipotetica scena lo-fi italiana, tanto underground e nostalgica quanto chiusa in se stessa. Paragoni d’ufficio? White Stripes, ovvio, ma anche Jon Spencer Blues Explosion o al massimo i Bassholes. Un gruppo destinato a trovare la più marcata raffinatezza melodica, spesso più comune ad un certo indie-pop. Un punto d’arrivo (o di partenza) imprevedibile solo per i poco attenti, visto che l’evoluzione è stata naturale, geniale quanto semplice, e forse proprio per questo poco comune in tempo moderni.
A dir la verità, i Mojomatics hanno sempre avuto poco di comune. Prendiamo ad esempio le loro registrazioni. In un periodo in cui le band sembrano fare a gara per trovare gli studi più esclusivi, per ingaggiare produttori dal nome altisonante o special guest alla frutta, tentando di celare con la fama di altri un’evidente mancanza di talento e personalità, i Mojomatics vanno nuovamente controtendenza, consapevoli di essere ancora una volta i migliori produttori di se stessi. Senza scomodare l’etica del Do It Yourself, MojoMatt e DavMatic hanno sfruttato l’esperienza e le competenze maturate nel loro rinnovato Outside Inside Studio per registrare l’album interamente da soli, e rigorosamente tutto in analogico. Niente correzioni o aiuti digitali: il risultato è un suono caldo, avvolgente, vero, che solo l’incisione su bobina sa dare. Proprio come succedeva per i dischi “classici”.
Dodici tracce che suonano compatte e fresche. Basta ascoltare l’iniziale “Wait a while”, tiro da gruppo punk e melodie che profumano di sixties.
Ma ci sono anche le formule che hanno già fatto la fortuna della band: il country di “Stars above” e le melodie velate di tristezza di “Complicate my life” e “Hole in my heart”. Senza dimenticarci del singolo che ha preceduto l’album, “Down my spine”, uscito su vinile lo scorso dicembre per Wild Honey e a lungo in rotazione sulle principali frequenze alternative italiane ed estere.
A ben vedere, tutte le 12 tracce potrebbero essere potenzialmente dei singoli. Ma non è certo sulla hit, sul pezzo radio friendly, che i Mojomatics hanno costruito la propria reputazione, quanto piuttosto su una qualità media disarmante, e sul saper combinare una consapevolezza e cultura da vecchi appassionati di musica all’energia e sfrontatezza dei vent’anni. Forti, naturalmente, di un’attività live sfiancante. Il percorso che li ha condotti a “Don’t Pretend that You Know Me” sfocerà in un nuovo tour italiano nei mesi di marzo e aprile. A seguire, tra maggio e giugno, sarà la volta dell’Europa: Germania, Olanda, Belgio, Francia, Svizzera e Austria, per più di trenta date, fino ad arrivare all’estate, quando saranno protagonisti di alcuni dei più importanti festival nazionali ed internazionali (è già confermata la loro presenza al rinomato Bukta Open Air Festival di Tromso,
Norvegia). E poi, come se non bastasse, ancora Svezia, Danimarca e Norvegia in ottobre. In tempi in cui le apparenze sono tutto, in cui il costruirsi un’immagine commercializzabile è fondamentale, i Mojomatics fanno propria l’etica dell’ Hard Travellin’, ripulendo il Rock’n’Roll della patina carnevalesca di cui è stato amaramente rivestito, e rimettendo il punto esclamativo alla sua vera essenza: le canzoni.
A giudicare dall’attesa e dalle pressanti richieste giunte da tutto il mondo da parte di etichette, locali, agenzie di booking e fan ancor prima dell’annuncio di questo nuovo album, la formula sembra funzionare ancora. Voi, volete continuare a non accorgervi di loro?
Franz Barcella (BAM! Magazine)