Descrizione
Leggere “Core” nel titolo di un disco porta velocemente a concetti emozionali ed affini. Magari un po’ rallentati, legati ad un circonferenza dove il raggio, da una parte, è fisico e, dall’altra, cerebrale. Roba vicina, in effetti, all’approccio musicale degli Encode. Roba bella, se la sai fare. Poi, però, ci sono le storie, che possono essere dilatate come certe canzoni. Allora si scopre che “Core” nasce nel 2005, quando ancora Elena era alla voce. Poi arriva Max, l’anno dopo, e la narrazione prosegue lenta e fisiologica. Sino ad oggi, quando viene presentato un disco di rara classe narcolettica. Un disco per cui un personaggio come Brian McMahan (Squirrel Bait, Slint, The For Carnation) non avrebbe alcuna remora a lanciare elogi ed applausi. Un disco dove l’attualità dei cloni dei cloni è stuprata con delicatissima violenza sonica, perchè l’atteggiamento del tutto e subito non è rinnegato per superiorità mentale, ma per semplice buon gusto. Con brani in divenire eppure immediati, attraverso un divenire intransigente nel sapere quando fermarsi e quando esplodere. In questo, un brano come “Memories Of Murder” è manifesto e punto di partenza: non cancellare la passione personale, piuttosto sfruttarla con quella sincerità espositiva oggi ormai scomparsa. “Core” si esprime così. Come miglior disco degli Encode. E come disco necessario per chi vuole ascoltare musica, fregandosene delle tendenze di periodo.